Quattro numeri.
La mobilità delle persone, in Italia, nel 2000, è stata di circa 1000 miliardi di passeggeri.chilometro.
E' come se ciascuna persona, neonati e anziani compresi, avesse percorso oltre 15.000 chilometri all'anno.
Naturalmente ci sono persone che ne hanno percorsi, in automobile, in treno, in autobus, centomila e altre che si sono accontentate di andare una volta al mese alla posta in autobus a ritirare la pensione.
Un pendolare che deve andare da casa al lavoro, distante 30 chilometri, 250 volte in un anno, percorre in un anno 15mila chilometri.
Circa il 75 % degli spostamenti delle persone hanno luogo con automobili o motocicli privati, circa il 10 % con mezzi pubblici su strada e circa il 10 % per ferrovia.La mobilità delle merci, sempre nel 2000, corrispondeva a circa 250 milioni di tonnellate.chilometro, il 60 % su strada e circa 10 % in ferrovia (il resto via mare o via oleodotti).I trasporti su strada hanno assorbito circa 36 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, per lo più sotto forma di prodotti petroliferi, e hanno immesso nell'aria circa 100 milioni di tonnellate di ANIDRIDE CARBONICA, ossido di CARBONIO, OSSIDI DI AZOTO, ossidi dello zolfo, oltre a varie altre sostanze dannose alla salute, contribuendo anche per circa un quarto del totale nazionale all'immissione nell'atmosfera di gas responsabili dell'EFFETTO SERRA.
Fra gli aspetti negativi si possono aggiungere le perdite di tempo e i danni alla salute dovuti alla congestione del traffico urbano e una decina di migliaia di morti all'anno per incidenti stradali, oltre a centinaia di migliaia di lesioni, ferite, eccetera.Le origini di questa crisi sono varie: negli anni dopo la Liberazione è emerso prepotente il giusto diritto a muoversi, a conoscere altri paesi e la stessa Italia, dopo la lunga notte di chiusura provincialistica del fascismo; l'automobile e il motorino apparivano strumenti liberatori e l'industria automobilistica ha rappresentato la grande occasione di crescita economica, di attrazione vero il Nord, ma anche verso la cultura operaia, delle popolazioni del Sud.
La moltiplicazione degli automezzi, per il trasporto di persone e di merci, ha imposto la creazione di sempre nuove strade e autostrade; le ferrovie, che dopo la Liberazione avevano ormai una rete completa ed efficiente, sono state gradualmente emarginate.
I trasporti stradali richiedevano prodotti petroliferi, in parte estratti nella valle Padana, in parte importati con successo dalla politica dell'ENI e raffinati dalle altre multinazionali petrolifere.I segni della crisi si sono cominciati ad avere negli anni settanta con la denuncia "ecologica" dell'INQUINAMENTO e della congestione urbana, con l'aumento del prezzo del petrolio, con i primi segni di stanchezza del mercato automobilistico.
Soprattutto con la comparsa dei primi sicuri segni di saturazione della capacità ricettiva delle strade urbane.Ma ormai il processo era innescato ed era difficile fermarlo.
In Italia,. ma anche nell'Europa sempre più economicamente integrata, "l'automobile" era l'industria per eccellenza e la politica economica, con qualsiasi governo, è stata orientata ad incoraggiare la VENDITA di crescenti quantità di autoveicoli.
Molte scelte urbanistiche, invece di avvicinare i posti di lavoro ai luoghi di residenza, hanno portato ad un allontanamento delle zone residenziali verso periferie raggiungibili soltanto con mezzi di trasporto privati.L'industria automobilistica, invece di diversificare la propria produzione verso i mezzi di trasporto pubblico, verso motori meno inquinanti, verso autoveicoli più duraturi, più standardizzati e facilmente riciclabili alla fine della loro vita utile, ha creduto di poter sopravvivere con un continuo ricambio e diversificazione dei modelli, con una sfacciata, talvolta sguaiata, pubblicità, con la complicità dei governi disposti a dare sovvenzioni a chi cambiava la propria automobile.
Incentivi mascherati dietro la scusa che i nuovi modelli sarebbero stati più "ecologici" --- con la commedia degli "ecoincentivi" dati a chi butta via non solo vecchie automobili considerate inquinanti, ma anche quelle "catalizzate" che fino a ieri erano pubblicizzate come "ecologiche": ecoincentivi a chi distrugge automobili "ecologiche", quindi!
Ecologia, quanti delitti si compiono in tuo nome!Una volta partiti da una politica fatta per favorire l'industria automobilistica era inevitabile cadere sempre più nella trappola della dipendenza dal petrolio i cui consumi, soprattutto sotto forma di benzina e gasolio, sono saliti rapidamente.Si sarebbe potuto fare una diversa politica della mobilità?
Certamente.
E' possibile farla a partire da oggi?
Forse.
Una politica diversa deve partire da una premessa relativamente semplice: occorre aumentare la mobilità delle persone e delle merci con un minore consumo di energia di origine petrolifera, con una minore emissione nell'atmosfera di GAS SERRA e di sostanze tossiche, abbassando la intensità di occupazione delle strade urbane al di sotto della capacità portante delle strade stesse.Un articolo che appare nel numero di luglio-settembre 2002 della rivista "Economia & Ambiente" mette in evidenza che le merci, gli oggetti, e fra questi i mezzi di trasporto, si comportano in un mercato o nella tecnosfera secondo "leggi" simili a quelle che regolano il numero di animali che occupano un territorio di dimensioni limitate il quale --- lo spiega bene l'ecologia --- ha una capacità ricettiva, una "carrying capacity" limitata per i suoi abitanti.
In maniera simile, anche un mercato di merci, anche lo spazio della tecnosfera, degli edifici, delle città, ha una capacità ricettiva limitata.
Quando, per restare al caso della mobilità, il numero di veicoli che occupano una strada (per forza, di dimensioni limitate) supera quello che la superficie della strada può sopportare, il sistema rallenta, o si ferma, o riprende lentamente per poi fermarsi di nuovo, assume, per usare un termine ancora una volta mutuato dall'ecologia, un carattere caotico.Tale carattere caotico è facilmente, ormai da anni, riconoscibile, nella congestione urbana a cui le amministrazioni fanno fronte, occasionalmente, con la chiusura di alcune strade al traffico con l'effetto di trasferire il caos in altre strade, nella congestione delle autostrade a cui le amministrazioni cercano di fare fronte indicando, ingenuamente, i giorni "buoni" o cattivi" in cui è sconsigliato il movimento. così come è ormai saturo il mercato automobilistico solo temporaneamente e disordinatamente curato con sconti, con la pubblicità e con incentivi alla rottamazione.Nell'analogia biologica, quando un pascolo non può più offrire erba o acqua per una popolazione animale la natura provvede a far diminuire il numero di animali, diminuendo la natalità.
Nell'analogia del mercato automobilistico i governi (improvvidi) non vogliono fermare la natalità degli autoveicoli o suggerire mezzi di trasporto alternativi e si limitano a far aumentare la mortalità degli autoveicoli "più vecchi" che vanno ad arricchire le montagne di rottami sparse nelle campagne.Un governo che volesse fare una politica della mobilità dovrebbe invitare i cittadini a non comprare altre automobili e dovrebbe incoraggiare, anche con pubblico denaro, l'industria automobilistica a cambiare i cicli produttivi verso modelli meno ingombranti, con minori consumi di energia, adatti all'impiego di fonti energetiche diverse dai prodotti petroliferi, più facilmente riciclabili, e, nello stesso tempo verso modelli di trasporto pubblico che possano essere attraenti per il pubblico, non con inutili e banali frivolezze, ma come facilità di accesso, come elasticità, come adattabilità ai percorsi più corti, alle strade dei centri storici medievali delle città italiane.
Chi usa, come l'autore di questa noticina, i mezzi pubblici di una grande città vorrebbe umilmente proporre la condanna dei progettisti degli autobus, degli assessori che li hanno ordinati e dei presidenti delle aziende dei trasporti, ad una intera settimana di viaggio su tali autobus, dalla mattina alla sera.
Capirebbero a che cosa hanno condannato i loro "clienti".Una importante svolta politica verso una decente mobilità delle persone e delle merci si otterrebbe cambiando l'attuale tendenza dei trasporti ferroviari.
Invece dell'aumento della velocità con treni e vagoni ultraperfettissimi che scimmiottano il traffico aereo --- ma che hanno gabinetti che non si chiudono, condannano i cittadini a indecenti scossoni, e sono scomodissimi --- per far risparmiare poi mezz'ora di tempo fra Roma e Milano, occorrerebbe far progettare treni passeggeri confortevoli per tutti, compresi i pendolari, trasporti di merci più sicuri specialmente nel Sud, una pianificazione della domanda di mobilità ferroviaria in modo da alleggerire il traffico delle merci su strada.Si opera invece in direzione contraria, moltiplicando le autostrade e le linee ferroviarie veloci e inutili, cioè le opere che assicurano affari e appalti e apportano ulteriori ferite ad un territorio già reso franoso da decenni di incurie e diboscamento.Infine una politica dei trasporti presuppone una svolta urbanistica nella localizzazione dei servizi e degli uffici fuori dai centri storici, la cui carrying capacity è già ormai largamente superata, un decentramento coordinato con la crescita dei quartieri periferici --- si pensi al ruolo che potrebbe avere una politica di decentramento delle università e delle scuole superiori--- e l'utilizzazione delle risorse delle tecnologie telematiche.Anni fa, ci si è chiesto che cosa avrebbe potuto rappresentare un ricorso pianificato al telelavoro ai fini della diminuzione del pendolarismo dei lavoratori; il dibattito non cominciò neanche e così il telelavoro, per esempio i call-centers, sono cresciuti in forma disordinata, fuori da qualsiasi piano, come nuove forme di sfruttamento del lavoro precario. Vorrei concludere ricordando a quei governanti e amministratori che si sono tanto sbracciati a firmare i documenti della convenzione di Johannesburg, che, forse senza accorgersene, con tali documenti si sono impegnati ad attuare un piano di azione che, al paragrafo 20, contiene esattamente le precedenti indicazioni.