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Energia, crescita e ferrovie in Italia 1861-1913 - Paolo Malanima -

 


1. La transizione energetica. All'epoca dell'Unità, l'economia italiana sfruttava quasi esclusivamente le fonti di energia tradizionali1.  Il carbon FOSSILE, importato soprattutto dall'Inghilterra, rappresentava, in termini di calorie, soltanto il 7 per cento del totale. Per il resto, tre erano le fonti economiche prevalenti: la legna, il cibo per gli uomini e il cibo per gli animali da lavoro. La legna, insieme al carbone da legna, rappresentava circa la metà del bilancio calorico degli Italiani. L'altra metà era costituita dal cibo consumato dagli uomini e da quello consumato dagli animali da lavoro. In questi calcoli, uomini ed animali vengono considerati come vere e proprie macchine che consumano le calorie del cibo, così come tante macchine moderne consumano il carbone o i derivati del petrolio o il GAS NATURALE. Un modestissimo contributo al BILANCIO ENERGETICO proveniva dalle cadute d'acqua per azionare mulini, segherie e frantoi e dal vento per le vele. Insieme, acqua e vento contribuivano per l'1 per cento al fabbisogno di energia. Queste fonti non vegetali, benchè di modesta importanza in termini quantitativi, erano, tuttavia, significative in quanto uniche fonti di energia meccanica non animale in un'economia in cui il lavoro era quasi interamente compiuto da organismi viventi tramite il metabolismo del cibo. Più del 90 per cento del consumo di ener-gia dipendeva, dunque, dalla produzione dei campi, dei pascoli e delle foreste.

Come le economie precedenti, anche l'economia italiana all'epoca dell'Unità potrebbe essere definita come un'economia vegetale. Un sistema energetico vegetale non può consentire una crescita continua del prodotto pro capite analoga a quella avvenuta nelle economie occidentali durante l'Otto e Novecento. La crescita continua esige una base energetica in grado di aumentare l’offerta di energia anno dopo anno. Essa deve consentire il funzionamento di un sistema complesso che, tramite l'uso sempre più ampio di macchine, sia capace di cooperare col lavoro degli uomini e di mettere a loro disposizione grandi quantitativi di lavoro meccanico. Quando la base energetica era di tipo vegetale, tutto questo non era possibile. Diventò possibile, invece, con la transizione alle fonti moderne.

Nell'anno 1900, alle origini dell’industrializzazione, le fonti fossili già superavano in Italia il 25 per cento del consumo totale. Erano circa il 50 per cento alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, sfioravano il 90 per cento nel 1970, sono circa il 93 per cento oggi: una situazione completamente rovesciata rispetto al 1861, quando le fonti tradizionali costituivano proprio il 93 per cento del totale. L'elettricità di origine idrica o geotermica, pur importante in Italia, non ha mai superato il 10 per cento del consumo totale (incluse le fonti tradizionali).

Già all’inizio del Novecento avevano avuto luogo grandi cambiamenti nelle fonti e nelle tecniche per il loro sfruttamento. Si possono solo ricordare l'avvento del petrolio, accanto al carbon FOSSILE, e l'elettricità come forma secondaria di energia (derivante, cioè, dalla trasformazione di una fonte d'energia primaria quale quella di un COMBUSTIBILE FOSSILE, o le cadute d’acqua…).

L’obiettivo del presente saggio è quello di ricostruire il quadro energetico nel quale si verificò l’avvio della crescita moderna in Italia, fra la fine dell’Ottocento e la Prima Guerra Mondiale, e di collocare, su questo sfondo, il ruolo che le ferrovie svolsero nel processo di cambiamento. Si esaminerà, prima di tutto, il fenomeno della transizione energetica, che ha avuto luogo negli ultimi 150 anni in Italia, facendo riferimento in particolare al periodo 1861-1913 (§ 1). Si valuterà, in seguito, il rapporto fra crescita dell’economia e consumi energetici (§ 2). Si passerà, infine, all’esame dei vari tipi di consumo energetico e al loro ruolo nel processo di transizione da fonti tradizionali a fonti moderne nel periodo 1861-1913 (§ 3).

 

 

Tabella 1. Composizione del consumo di energia in Italia 1861-1913 (%)


Mentre le fonti nuove crescevano di rilievo, quelle tradizionali perdevano importanza, sia in termini relativi che assoluti. Da più del 90 per cento nel 1861, erano scese a meno del 60 per cento nel 1913. Da economia vegetale, qual era, l'economia italiana si andava trasformando in economia FOSSILE. Stava avvenendo anche in Italia il radicale cambiamento che ha consentito la crescita del prodotto in misura assai superiore a quello della popolazione negli ultimi 150 anni. Il prodotto pro capite è aumentato di 15 volte fra il 1861 e il 2000: un risultato che sarebbe stato impossibile nel caso di un'economia vegetale. Questo passaggio dalla prevalenza delle fonti tradizionali a quella delle fonti moderne, questa transizione energetica, rappresenta una condizione necessaria, anche se non sufficiente, della crescita moderna.

Insieme al cambiamento nel tipo di fonti impiegate, una tra-sformazione altrettanto significativa è avvenuta, negli ultimi 150 anni, nel volume dei consumi. Nelle società vegetali, i consumi pro capite al giorno non superavano, di solito, le 5-10.000 kcal. In una società relativamente settentrionale e dal clima temperato come quella europea, nella quale, per giunta, l'uso di animali da lavoro in agricoltura era relativamente importante, i consumi potevano oscillare in media fra le 10.000 e le 20.000 kcal al giorno. Erano ancora più alti nelle regioni fredde del Nord Europa, dove il consumo di legna era considerevole. L'Italia, all'epoca dell'Unità, si distingueva per consumi pro capite bassi, rispetto alla media europea. Le temperature medie, più elevate che altrove, comportavano un consumo modesto di legna. In tutto, ciascun abitante consumava allora intorno alle 11-12.000 kcal. al giorno. L'introduzione delle fonti fossili di energia fu accompagnata da un aumento dei consumi complessivi del paese. Dato che anche la popolazione cresceva, il consumo a persona aumentò assai lentamente. Si era poco al di sotto delle 16.000 kcal al giorno nel 1913. Negli anni '20 e '30 del Novecento i consumi aumentarono, sia pure molto lentamente. Essi raddoppiarono negli anni '50 e raddoppiarono di nuovo negli anni '60. Nel 1970 si era sulle 63.000 kcal. La crisi energetica del 1973 segnò anche in Italia un deciso rallentamento nei consumi. Alla fine del Novecento, il consumo pro capite al giorno era di poco meno di 90.000 kcal, includendo le energie tradizionali, ormai assai modeste.

Nel mezzo secolo dall’Unità alla Grande Guerra, i prezzi delle fonti moderne, e soprattutto del carbone, si venivano riducendo, anche se in Italia essi erano assai più elevati che nei paesi del Centro-Nord dell’Europa: in media di 4-5 volte2.  Mentre in passato l’aumento della popolazione e, quindi, della domanda di fonti di energia, aveva comportato un aumento dei prezzi, nella seconda metà dell’Ottocento, invece, i prezzi dei combustibili si venivano riducendo; in particolare quello del carbon FOSSILE, trasportato tramite navi a vapore con costi più bassi che in passato3.  A parità di contenuto calorico, il suo prezzo era di 3-4 volte inferiore a quello della legna da ardere. Il maggiore peso specifico, rispetto alla legna e il più elevato rendimento calorico a parità di peso, ne facevano un prodotto più adatto per le attività industriali, per i trasporti, per il riscaldamento domestico. Il progresso del carbone sui mercati della penisola ebbe l’effetto di trascinare verso il basso anche il prezzo della legna da ardere.

2. L’avvio della crescita moderna e i consumi di energia. La revisione recente, sia pure parziale, della contabilità nazionale consente già di delineare l’avvio della crescita moderna in Italia in un modo diverso rispetto a quello del passato4.  Se, infatti, confrontiamo i risultati della revisione del Pil pro capite in Italia fra 1861 e 1913 con la serie elaborata da Angus Maddison nel 19915,  e basata, sia pure con diverse innovazioni, sui dati elaborati dall’Istat nel 1957, il profilo della crescita dell’Italia alla fine dell’Ottocento cambia. Secondo le serie precedenti, infatti, si sarebbe avuta una stabilità del prodotto pro capite fino agli ultimi anni dell’Ottocento. Solo allora si sarebbe verificato il decollo dell’industrializzazione e della crescita moderna. Secondo le nuove serie, invece, l’avvio è più graduale. Si ha un primo aumento già negli anni Ottanta. Segue un rallentamento all’inizio del decennio successivo. C’è, infine, una nuova fase in ascesa dalla metà degli anni Novanta. Lo stesso trend interessa sia l’industria che l’agricoltura.

Si vede bene, come, già durante la prima fase di crescita del prodotto pro capite in Italia, dal 1880 in poi, si sia avuto un au-mento dei consumi di fonti moderne, che all’epoca erano costituite dal carbone. Ci fu, poi, una caduta all’inizio degli anni Novanta, seguita da una nuova fase espansiva dal 1895 in poi. Da una parte il consumo di nuove fonti consentiva di accrescere il lavoro che era possibile erogare; dall’altra l’aumento del prodotto sospingeva verso l’uso più ampio di fonti di energia, e soprattutto di quelle moderne.

Non si ebbe soltanto un aumento del consumo energetico in relazione con la crescita dell’economia. L’energia cominciò anche ad essere usata meglio. Il suo rendimento aumentò. E’ una caratteristica dei sistemi energetici tradizionali il rendimento modesto dell’energia, inteso come rapporto fra l’energia utile e l’energia complessiva utilizzata. Anche in Italia, come altrove, questo rapporto poteva collocarsi intorno al 20-25 per cento6.  I tradizionali focolari domestici hanno un rendimento che raramente supera il 10 per cento. Quanto ai convertitori biologici di energia, gli uomini e gli animali da lavoro, gran parte dell’energia introdotta come cibo viene adoperata per il metabolismo e non si trasforma in lavoro utile. Si calcola che l’efficienza, in termini di rendimento meccanico, di un animale da lavoro o da trasporto non superi il 10 per cento; quella di un uomo è superiore e si colloca intorno al 20. Anche nel caso dei convertitori meccanici, gran parte dell’energia introdotta si trasforma in calore che si disperde nell’ambiente e non può venire utilizzato a scopi produttivi. L’efficienza di una macchina può, però, superare il 40 per cento. Come mezzo di trasporto che converte energia, un treno è più efficiente di un cavallo o di un mulo. L’introduzione di fonti moderne di energia comportò non solo la possibilità di sfruttare fonti meno care e più facilmente rese disponibili, rispetto a quelle del passato, ma anche di utilizzarle meglio con l’uso di convertitori non biologici, meccanici, di energia.

Per intensità energetica s’intende il rapporto fra l’energia consumata e il prodotto interno lordo. Essa indica quanta energia è necessaria per produrre un’unità di prodotto. In alcune ricostruzioni del passato, l’intensità energetica fra l’Unità e la Grande Guerra appare in forte aumento. Si tratta, in realtà, di un risultato fuorviante, ottenuto dividendo per il Pil soltanto il consumo di energie moderne. Dato che queste erano poche nel 1861 e che poi crebbero notevolmente, dividendole per il prodotto si ottiene una curva in ascesa7.  Considerando tutte le fonti di energia –moderne e tradizionali- le cose cambiano. In Italia l’intensità energetica si ridusse di circa il 30 per cento nel periodo fra l’Unità e la Grande Guerra. Ciò equivale a dire che, per avere lo stesso risultato economico, nel 1913 era necessario il 30 per cento in meno di energia. Le macchine nell’industria, nell’agricoltura e nei trasporti consentivano di sfruttare meglio le energie minerali prima e quelle dell’idroelettricità dopo.

I consumi complessivi di energia quasi raddoppiarono fra il 1861 e il 1913, passando da 11 a 20 milioni e mezzo di Tep8.  Per rendersi conto del contributo dei diversi elementi all’aumento complessivo, possiamo scomporre i consumi totali di energia (E) come il risultato della moltiplicazione della popolazione (P) per il prodotto pro capite (PIL/P) per l’intensità energetica (E/PIL):

         
Indicando con e il tasso di aumento del consumo complessivo di energia, con p quello della popolazione, con y del prodotto pro capite e con ei dell’intensità energetica, abbiamo, per il periodo 1861-1913, i seguenti valori:

e     1,15
p     0,66
y     1,20
e   -0,71

Ciò equivale a dire che i consumi totali di energia aumentarono, fra le due date, dell’1,15 per cento all’anno. L’aumento del  prodotto pro capite fu quello che più influì sui consumi complessivi di energia. L’aumento della popolazione, relativamente più lento, fu assai meno rilevante e corrisponde, come si vede, a circa la metà del contributo derivante dall’aumento del prodotto pro capite). Mentre l’aumento della popolazione e del prodotto sospingevano verso l’incremento dei consumi complessivi di energia, la riduzione dell’intensità energetica agiva in senso opposto e contribuiva, così, a rendere meno forte l’aumento.

3. I consumi delle energie moderne. In questo scenario si colloca lo sviluppo della rete ferroviaria italiana9.  E’ evidente che essa si collegò, prima di tutto al consumo di carbon FOSSILE, che era la fonte per eccellenza dei treni a vapore. Si usava –è vero-, soprattutto all’inizio, anche il carbone da legna e la legna, spesso mescolati in rapporti vari col carbon FOSSILE. Si cominciò ad usare precocemente, in Italia, anche l’elettricità, per azionare i treni10.  Del resto, tuttavia, l’elettricità veniva prodotta in larga misura da centrali a carbone e quindi la fonte primaria di energia consumata era ancora il carbone. Il carbon FOSSILE rimase, comunque, nei primi decenni dopo l’Unità, il combustibile più importante per i trasporti su rotaia.

All’epoca dell’Unità l’Italia partiva da una posizione d’infe-riorità, rispetto ai paesi dell’Europa centro-occidentale. Le ferrovie italiane misuravano meno 3000 km. La loro estensione aumentò con continuità: in modo più rapido fino al 1895; meno nei successivi 20 anni. Nel complesso, fra il 1861 e la Grande Guerra l’aumento fu di 6 volte11.

I consumi di energie moderne erano di tre tipi. C’era, prima di tutto, il consumo da parte delle famiglie per riscaldamento domestico. C’era, in secondo luogo, il consumo dell’industria. Veniva, infine, il consumo per i trasporti, che era, all’epoca, costituito quasi esclusivamente dal consumo delle ferrovie. Le navi a vapore erano ancora poche. Qual era l’importanza relativa di questi consumi nel determinare il consumo complessivo?

Per quanto riguarda il consumo domestico, pur in crescita per l’aumento della popolazione e per la sostituzione del carbon FOSSILE alla legna e al carbone di legna, soprattutto da parte delle famiglie urbane, esso rimase, tuttavia, una quota modesta. L’aumento considerevole delle importazioni non dipese, quindi, dall’aumento dei consumi domestici.

Per quanto riguarda il consumo da parte delle ferrovie, esso ebbe un’influenza più ragguardevole sull’aumento dei consumi complessivi. Mentre nel primo decennio dopo l’Unità l’aumento della rete ferroviaria avvenne in un quadro di consumi di carbone stazionari, dalla metà degli anni ’70 le cose cambiarono. Da allora consumi di carbone da una parte e rete ferroviaria dall’altra crebbero insieme. La relazione statistica fra i due fenomeni divenne significativa12.

Più forte fu senza dubbio la relazione fra la crescita dell’industria e l’aumento della domanda e dei consumi di carbone. Nella crescita dell’industria italiana, tuttavia, il carbone fu meno decisivo che altrove in Europa. Nel 1911, infatti, la potenza complessiva delle macchine in uso nell’industria derivava, per il 16 per cento, dalle cadute d’acqua per alimentare i mulini attivi per la macinazione del frumento e, meno, per attività industriali d’altro tipo. Il resto della potenza proveniva, per la metà circa, dall’idroelettricità e, per l’altra metà, dai combustibili fossili: prima di tutto il carbone, poi il gas ottenuto dalla distillazione del carbone e, infine, dal poco petrolio che allora si cominciava a consumare13.

Questi dati sono confermati dalla ripartizione dei consumi di carbone nel 1929 (Tabella 2).  La testimonianza diretta conferma quanto le elaborazioni statistiche precedenti permettono di stimare per i decenni che precedono la Grande Guerra.

Tabella 2. Consumo di carbone in Italia nel 1929, distinto per tipo d’impiego
(tonnellate e valori percentuali).

E’ certo, tuttavia, che il ruolo delle ferrovie nella transizione energetica italiana durante i primi 50 anni dello stato unitario risulterebbe assai più rilevante se potessimo tenere conto degli effetti indiretti sui consumi di energia derivanti dalla costruzione di rotaie e materiale rotabile da parte dell’industria e della circolazione interna delle fonti di energia fossili resa possibile dalla costruzione della rete ferroviaria e dal nuovo impulso che essa stava dando ai trasporti nell’era del carbone. Con questi effetti indiretti, l’impatto complessivo delle costruzioni di ferrovie e dei trasporti ferroviari sulla trasformazione del sistema energetico italiano apparirebbe assai più rilevante.


1 I dati relativi ai consumi di energia riportati nelle pagine seguenti sono presentati in maniera ampia in P. Malanima, Energy consumption in Italy in the 19th and 20th centuries. A statistical outline (in corso di stampa). Per i consumi di carbon FOSSILE si veda anche S. Bartoletto, I combustibili fossili in Italia dal 1870 a oggi, in “Storia Economica” (in corso di stampa). Il consumo di fonti tradizionali di energia è esaminato anche in C. Bardini, Senza carbone nell’età del vapore. Gli inizi dell’in¬dustrializzazione italiana, Milano, B. Mondadori, 1998 (le stime di Bardini non comprendono tutte le fonti tradizionali e sono elaborate, in alcuni casi, con criteri diversi rispetto a quelle qui presentate).
2 Bardini, Senza carbone nell’età del vapore, p. 52.
3 I prezzi sono tratti da Sommario di statistiche storiche dell’Italia 1861-1975, Roma, ISTAT, 1976 e da Sommario di statistiche storiche 1926-1985, Roma, ISTAT, 1986.
4 Rimando in particolare a S. Fenoaltea, La crescita economica dell’Italia po-stunitaria: le nuove serie storiche, in “Rivista di Storia Economica”, n.s., XXI, 2005, pp. 91-121; e S. Fenoaltea, The growth of the Italian economy, 1861-1913: preliminary second-generation estimates, in “European Review of Economic History”, 9, 2005, pp. 273-312.
5 A. Maddison, A revised estimate of Italian economic growth, 1861-1989, in “Banca Nazionale del Lavoro Quaterly Review”, 1991, pp. 225-41.
6 Rimando a P. Malanima, Energia e crescita nell’Europa preindustriale, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1996.
7 Si veda, come esempio, A. Clô, Crisi energetica: consumi, risparmi e pene-trazione elettrica, in G. Zanetti (a cura di), Storia dell’industria elettrica in Italia, 5, Gli sviluppi dell’ENEL. 1963-1990, Roma-Bari, Laterza, 1994.
8 Una tonnellata di petrolio equivalente (Tep) equivale a 10 milioni di chilocalo-rie.
9 Fra i tanti lavori sul tema, rimando specialmente a A. Giuntini, Il paese che si muove. Le ferrovie in Italia fra ‘800 e ‘900, Milano, F. Angeli, 2001; e A. Schram (a cura di), Railways and the formation of the Italian State in the 19th century, Cambridge, Cambridge Univ. Press, 1997.
10 Nel 1910 esistevano in Italia 37 locomotive elettriche. Il numero era salito a 751 nel 1930: Sommario di statistiche storiche dell’Italia 1861-1975, p. 104.
11 I dati per la costruzione del grafico sono basati su ISTAT, Sommario di stati-stiche storiche italiane (1861-1955), Roma, ISTAT, 1958.
12 I risultati statistici richiamati rapidamente nel testo sono basati su una re-gressione lineare del consumo di energie moderne sui consumi domestici (ap-prossimati dalla crescita demografica e dall’aumento dei tassi di urbanizzazi-one), sulla rete ferroviaria (che approssima l’andamento dei consumi per i traporti su ferrovia) e sull’andamento della produzione industriale. L’equazione di regressione è differenziata per evitare la presenza di una radice unitaria. Mentre il consumo domestico non risulta significativo, è significativo il con-tributo delle ferrovie, e, ancora di più, quello derivante dall’aumento della pro-duzione industriale. I dati sulla produzione industriale sono quelli elaborati da S. Fenoaltea, La crescita industriale delle regioni d’Italia dall’Unità alla Grande Guerra: una prima stima per gli anni censuari, in “Quaderni dell’Ufficio Ricerche Storiche”, 1, 2001.
13 I precedenti dati sono la rielaborazione di quelli presentati da C. Bardini, Ma il vapore era davvero importante? Consumo energetico e sviluppo industriale di un paese privo di carbone (Italia 1885-1914), Firenze, European University In-stitut, 1994.
14 I dati della tabella sono ripresi da Utilizzazione ed economia dei combustibili, Roma, Ente Nazionale Italiano per l’Organizzazione Scientifica del Lavoro, 1935, p. 23.