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L'approvvigionamento idrico a Roma dall'età antica ai nostri giorni - Daniela Ukmar -

1. IL SISTEMA ACQUEDOTTISTICO DELL’ANTICA ROMA (IV SEC. A.C. – V SEC. D.C.).

1.1 L'importanza sociale e politica dell'acqua.

Sin da quando gli uomini hanno cominciato a organizzarsi con strutture sociali complesse, si è fatta pressante la necessità di alimentare con l’elemento primo indispensabile alla vita – l’acqua – i crescenti agglomerati urbani della popolazione.  Inizialmente i bisogni d’acqua potevano essere soddisfatti con risorse naturali locali;  successivamente,  con la ricerca di fonti più abbondanti e sempre più lontane, dalla tecnica elementare si è passati all’ingegneria delle soluzioni più complesse.
Si ricordano brevemente la rete di canali dell’epoca mesopotamica nella quale le città erano collegate da vie d’acqua derivate dal Tigri e dall’Eufrate, le opere della civiltà faraonica, gli acquedotti della Palestina, della Samaria e della Galilea, tra i quali notevole era quello di Gerusalemme, scavato per 533 metri nella roccia e con sbocco nella storica piscina di Siloe.
Anche la Grecia, nella sua splendida civiltà, ha lasciato esempi notevolissimi di ingegneria idraulica, tra i quali si annovera l’acquedotto dell’isola di Samo, realizzato da Eupalino di Megara verso il VII sec. a.C. per alimentare la città sulla costa con l’acqua di un lago interno. Sono da ricordare anche gli acquedotti dell’Imetto, del Pentelico, del Parnaso e del Licabetto, che rifornivano Atene.
Tuttavia, sebbene i Romani si avvalessero della  tecnica e delle esperienze degli Egizi, dei Greci  e soprattutto degli Etruschi, gli acquedotti sono stati universalmente riconosciuti come l’elemento caratteristico (insieme alla costruzione di strade e all’ordinamento giuridico)  della civiltà romana.
Troviamo traccia di acquedotti nella maggior parte dei paesi dove si è esercitata l’influenza di Roma. In Spagna, gli acquedotti di Tarragona, Siviglia, Valencia e Merida, oltre quello di Segovia con il meraviglioso ponte ad archi multipli.
In Francia, oltre i due acquedotti di Antibes e tre di Marsiglia, ve ne erano cinque che alimentavano Parigi,  cinque a Lione e un altro a Nimes, del quale il famoso Pont du Gard si offre ancora all’ammirazione.
Anche fuori dall’Europa, nell’ambito della vasta dominazione romana in Africa e Asia, non mancarono notevoli esempi di acquedotti. A Efeso fu realizzato un acquedotto sotto il principato di Augusto; a Cartagine, in epoca adrianea, si condusse l’acqua da una distanza di ben 132 km.  Altri acquedotti alimentarono Cesarea, Antiochia, Mitilene e, più tardi, Costantinopoli.
Ma è nell’Urbe che i Romani raggiunsero livelli eccelsi nell’edificazione degli acquedotti, consegnando alle epoche successive secoli  di ingegneria e di architettura idraulica.
La portata idrica complessiva degli undici acquedotti di Roma antica superava l'odierna quantità giornaliera di acqua disponibile nella città. Tale abbondanza -  mai più raggiunta in nessuna altra parte del mondo -  fu il risultato di una compiuta consapevolezza di un’economia dipendente dalle risorse idriche e del riconoscimento dell’importanza sociale e politica dell’acqua. Utilizzata per alimentare terme, bagni pubblici, naumachie, fontane e ninfei, l’acqua divenne infatti  il  simbolo distintivo e celebrativo del potere.
Ciò che preme inoltre rilevare è che l’Autorità cittadina, sin dalla costruzione del primo acquedotto, impose ai privati proprietari l’attraversamento dei manufatti idraulici. Concetti come cura communium utilitatum o publica commoda avevano validità sul piano storico e pratico, prima ancora di essere legiferati dagli imperatori del tardo periodo: tutti gli acquedotti erano pubblici e il loro danneggiamento veniva severamente punito.

1.2 De aquis quae in Urbem influunt: gli undici acquedotti di Roma antica.

Le maggiori fonti testuali antiche, dalle quali si possono trarre informazioni sulle capacità tecniche romane, sono essenzialmente due: il De architectura di Vitruvio (I sec. a.C.), nel quale vengono illustrati i sistemi di conduzione  delle acque e la rete idrica urbana; il De aquaeductu urbis Romae di Frontino (fine I sec. d.C.), nel quale sono descritti in maniera dettagliata gli acquedotti della città.
Nel 312 a.C. (dopo circa quattro secoli e mezzo dalla fondazione della città) venne realizzata la prima opera idraulica che permise di convogliare l’acqua da sorgenti lontane dalla città. Si tratta dell’Acquedotto Appio, le cui sorgenti si trovano fra il settimo e l’ottavo miglio della via Prenestina. L’acquedotto, che prese il nome dal censore Appio Claudio, terminava non a caso nel Foro Boario, dove si trovava il porto della Roma repubblicana, meta di viaggiatori provenienti da tutto il mondo e presso la quale la presenza di acqua potabile si caricava di fini propagandistici della grandezza di Roma.
Dopo quarant’anni circa, i censori Manlio Curio Dentato e Fulvio Flacco costruirono un altro acquedotto, l’Anius Vetus, per addurre a Roma l’acqua di alcune sorgenti situate nell'alta valle dell’Aniene. Nell'anno 114 ac. Il Senato affidò al pretore Quinto Marcio  l’opera di adduzione per la presa ed il trasporto a Roma delle acque di altre sorgenti di ottima qualità lungo la valle dell’Aniene, nella piana di Arsoli.  Per la costruzione dell’Acquedotto, denominato Marcio, fu utilizzata per la prima volta la tecnica delle grandi arcate in opera quadrata.
In seguito, i censori Servilio Cepione e Cassio Longino nell’anno 125 a.C. addussero a Roma dalla sorgente Preziosa, nei pressi di Grottaferrata, l'acqua Tepula (così chiamata per la sua temperatura abbastanza elevata);  nell’anno 33 a.c. Marco Vipsenio Agrippa realizzò l’acquedotto Giulio, la cui acqua proveniva dalla sorgente Squarciarelli, 12 miglia a sud-est della città. Successivamente, nel 19 a.C. lo stesso Marco Vipsanio Agrippa, per alimentare le terme da lui costruite presso il Pantheon, condusse a Roma l’acqua Vergine dalle sorgenti presso l'ottavo miglio della via Collatina, nei pressi della località Salone, tutt’oggi utilizzate per il moderno acquedotto.
Nell’anno 2 a. C. l’imperatore Augusto addusse a Roma l’acqua del lago Alsiatinus, oggi di Martignano, per alimentare il bacino della Naumachia situato ai piedi del Gianicolo (acquedotto Alsietino).
Caligola nell’anno 38 iniziò la costruzione di uno dei più grandiosi acquedotti che doveva condurre a Roma l’acqua di due altre sorgenti della valle di Arsoli, lungo il corso dell’aniene. L’opera fu completata 14 anni dopo da Claudio e l’acquedotto, che da lui ha preso il nome (acquedotto Claudio), fece la sua prima mostra nella città il 1 agosto dell’anno 52 d.C. Vi sono molti resti imponenti di questo acquedotto a testimonianza della grandiosità dell’opera.
Fu sempre Caligola a iniziare nel 38 d.C. i lavori per l’adduzione di acqua dell’Aniene captata in un punto situato più a monte delle sorgenti dell’acqua Claudia. Anche questa nuova opera venne completata da Claudio nel 52 d.C. e a essa venne dato il nome di Anius Novus. Viene considerato da molti come l'opera più imponente dell'architettura idraulica romana.
Allo scopo di addurre acqua di buona qualità per la regione di Trastevere che disponeva della sola Alsietina, Traiano nella 109 costruì il grande acquedotto, al quale fu dato il suo nome (acquedotto Traiano). Le acque venivano captate da alcune falde situate nei pressi del lago di Bracciano.
Infine, nel 226 Alessandro Severo, allo scopo di alimentare le terme da lui costruite nel Campo Marzio, realizzò le opere che vanno sotto il nome di acquedotto Alessandrino, per l’adduzione a Roma delle acque delle sorgenti situate nella tenuta di Pantano, presso Colonna.
Con la costruzione dell’acquedotto Alessandrino terminò l’epoca delle grandi realizzazioni per l’alimentazione idrica di Roma. Dal III al V secolo con la decadenza dell’Impero, Roma divenne sempre più esposta ad attacchi e saccheggi da parte delle popolazione barbariche e la gran parte degli acquedotti venne distrutta.

2. DA REGINA AQUARUM A CITTÀ ASSETATA (VI – XIV SEC.).

2.1 Il Tevere  e la DISTRIBUZIONE dell’acqua nel Medioevo.

Gli acquedotti di epoca antica funzionarono fino al VI secolo. Con la caduta dell’Impero romano ebbe inizio la loro graduale distruzione.  Durante le guerre gotiche, le popolazioni barbariche, che ripetutamente assediarono Roma, ne danneggiarono gran parte per tagliare le risorse idriche della città e insieme alla decadenza e alla devastazione dell’Urbe, le monumentali opere idrauliche caddero in rovina.
I primi danneggiamenti sono legati all’incursione dei Visigoti nel 409, poi dei Vandali di Genserico nel 455 e degli Eruli di Odoacre nel 476. Non privo di conseguenze fu, probabilmente, anche il devastante terremoto avvenuto a Roma nel 443.
Ma fu soprattutto nel 534, con l’assedio posto da Vitige, re degli Ostrogoti, che gli acquedotti svolsero un ruolo fondamentale nelle vicende belliche. Gli Ostrogoti si accamparono nel  punto di intersezione dei maggiori acquedotti, tra la Via Appia e la Via Latina, e ne tagliarono i condotti per assetare la città. Gli assediati murarono gli sbocchi dell’Acqua Vergine (presso il Pincio), per bloccare il tentativo di penetrazione degli uomini di Vitige attraverso l’acquedotto.
L’assedio fu tolto nel 538, ma da allora Roma fu privata della sua maggiore fonte di approvvigionamento idrico. Tra esse solo l’Acqua Vergine e, a periodi alterni, l’Acqua Traiana rimasero in funzione nei mille anni successivi. Durante il Medioevo, pertanto, l’approvvigionamento idrico di Roma fu garantito quasi esclusivamente dal Tevere.
L’acqua del fiume veniva raccolta a monte della città, presso ponte Milvio, e prima di essere trasportata a domicilio veniva lasciata per alcuni giorni a decantare in grandi serbatoi per farne depositare la marna, la tipica sostanza minerale giallognola che valse al Tevere l’appellativo di “Biondo”. L’acqua veniva trasportata a dorso degli asini e venduta a domicilio dalla Corporazione degli acquarenari (o acquaroli), il cui  nome era dovuto, appunto, alla cattiva qualità dell’acqua, mista a sabbia (arena).

3. ROMA, CITTÀ DELLE FONTANE (XV – XIX SEC.).

3.1 Il ripristino degli acquedotti Vergine, Alessandrino, Traiano e Marcio.

Si può parlare di ricostruzione dell’antico patrimonio di impianti solo a partire dal secolo XV, quando alcuni pontefici  decisero  di realizzare nuovi dotti, sfruttando, quanto più possibile, ciò che rimaneva di quelli antichi.
Nel 1453 Nicolò V iniziò il restauro dell’acquedotto Vergine -  l'unico ad essere rimasto parzialmente attivo -  anche se i lavori definitivi per il suo ripristino furono iniziati nel 1570 da Papa Pio V (1566-1572). Tuttavia, Roma cominciava di nuovo a  espandersi a un ritmo elevato e l’acqua era insufficiente, soprattutto in zone centrali come il Campidoglio, dove l’acquedotto Vergine non giungeva.
Fu Sisto V (Felice Peretti, 1585 – 1590) a fare costruire il nuovo acquedotto Felice, che dalle sorgenti di Pantano Borghese avrebbe dovuto integrare le antiche rovine dell’Acqua Alessandrina.
All’inizio del XVII sec.,  Paolo V (1605 – 1621) fece restaurare l’Acqua Traiana, acquistando dal duca Orsini le sorgenti del territorio di Bracciano. La rinominò, dal suo nome, Acqua Paola e i lavori terminarono nel 1618. L’Acqua Paola riforniva la parte occidentale della città e il rione Borgo, adiacente al Vaticano. Il nuovo consistente apporto idrico consentì che l’acqua arrivasse per mezzo di condutture fin dentro alcune abitazioni di privati cittadini e gli utenti furono avvertiti che se non pagavano la tassa (l'odierna bolletta), “li verrà acciaccato il tubo”, come si desume da alcuni elenchi di utenza conservati presso l’Archivio di Stato di Roma.
Nel 1870, poco prima della Breccia di Porta Pia, papa Pio IX inaugurò l’acquedotto che seguiva l’antico tracciato dell’Acqua Marcia. Le sorgenti originarie erano state considerate disperse per molti secoli e furono rinvenute da Luigi Canina, incaricato da Pio IX del ripristino dell’acquedotto. Tra i vari progetti presentati, respinti per l’altissimo costo dell’opera, solo nel 1865 ebbe l’approvazione pontificia quello elaborato dalla Società anglo romana costituitasi nel 1867 in Società Acqua Pia Antica Marcia (SAM) per la conduzione a Roma delle acque dalle sorgenti.
L’acqua del nuovo acquedotto Marcio giunse a Roma nel 1870, ma i lavori di completamento del complesso sistema di adduzione richiesero altri 60 anni. Furono costruite due condotte per condurre l’acqua dalla Val d’Arsoli a Tivoli e un impianto di sifoni in pressione da Tivoli a Roma, che venne realizzato in varie riprese tra il 1870 e il  1937.

3.2 L’acqua come arredo urbano: le fontane di Roma.

Nella riedificazione degli acquedotti voluta dai pontefici, l’acqua tornò anche a “farsi” arte. I papi decorarono infatti gli sbocchi principali dei condotti con grandiose fontane definite mostre dei rispettivi acquedotti, similmente ai grandi ninfei del passato, sfruttando ancora una volta le possibilità spettacolari offerte dall’acqua giunta di nuovo in città  in maniera abbondante.
La fontane di mostra del Mosè (acquedotto Felice), del Fontanone sul Gianicolo (acquedotto Paolo), la grandiosa e scenografica Fontana di Trevi (acquedotto Vergine), la fontana delle Naiadi a Piazza della Repubblica (acquedotto Marcio) rinnovarono così  la tradizione della Roma di età imperiale, coniugando  felicemente l’esigenza celebrativa con quella ornamentale e architettonica.
Tra il XVI e il XVII secolo, in particolare, le fontane a Roma si moltiplicarono: scultori e architetti famosi come l’Ammanati, il Bernini, il Borromini, il Della Porta, il Fontana, il Maderno hanno collaborato alla realizzazione di un insieme monumentale di  dimensioni grandiose, come le Fontane di Piazza Navona o di Piazza di Spagna,  o di pregevole raffinatezza, come la Fontana delle Tartarughe, conosciuto dai turisti di tutto il mondo. 
Le fontane di Roma, ancora oggi, rappresentano infatti l’elemento più vistoso e solenne della funzione dell’acqua come elemento di progettazione e di arredo  dello spazio urbano.

4. L’ACQUA IN TUTTE LE ABITAZIONI DEI ROMANI
 
4.1 L’acquisizione del servizio idrico all’Acea (1937)

Dopo il 1870, gli acquedotti pontifici Vergine, Felice e Paolo vennero acquisiti dal Comune di Roma. Erano impianti superati, igienicamente insicuri, con dotazioni scarse e in uso solo nelle zone basse della città. L’approvvigionamento idrico in città veniva, pertanto, quasi esclusivamente assicurato dalla Società Acqua Marcia, che, in virtù della CONCESSIONE pontificia del 1865, godeva del monopolio assoluto di installare in città condutture per nuove acque potabili.
Negli anni Trenta del Novecento, l’impellente necessità di acqua potabile - e l’impossibilità immediata di farvi fronte con nuove adduzioni, spinse il Campidoglio a interventi migliorativi dell'acquedotto Vergine, attraverso la sua sopraelevazione a quota 60 s.l.m. (N.A.V.E., Nuovo acquedotto Vergine elevato con portata l/s 550).
Inoltre, in base a un progetto ideato e elaborato sin dal 1910, il governo rilasciò nel 1937 al municipio capitolino l'autorizzazione definitiva per derivare le acque di alcune sorgenti del fiume Peschiera, mediante  la realizzazione di un nuovo acquedotto che avrebbe soddisfatto il fabbisogno di acqua potabile per circa 2 milioni di abitanti.
I lavori di costruzione del nuovo acquedotto furono affidati all’Azienda elettrica municipale (AEM), che assunse la gestione del servizio delle acque comunali nel 1937, cambiando la sua denominazione in Azienda governatoriale elettricità e acque di Roma (AGEA),  divenuta successivamente, nel 1944,  Acea (Azienda comunale elettricità ed acque). Vennero affidati all’Acea anche gli impianti di innaffiamento, le fontane artistiche e monumentali e le fontanelle pubbliche.

4.2 La costruzione di nuovi  acquedotti 

L’Acea assunse la gestione del servizio delle acque nel 1937. La popolazione romana raggiungeva il milione e duecento mila abitanti e progrediva con curva ascendente, mentre erano in via di esaurimento le disponibilità della Società dell’Acqua  Marcia (SAM), che ancora riforniva la quasi totalità dell’utenza privata cittadina.
Nonostante la drammatica emergenza idrica, i lavori dell’acquedotto del Peschiera, che adduceva l’acqua da alcune sorgenti situate vicino Rieti, a circa 60 km da Roma, furono avviati nel 1938, ma si protrassero tra molteplici difficoltà per circa un ventennio. Nel 1949 l’acquedotto fu messo parzialmente in esercizio con 600 l/sec, tuttavia già nel 1952 fu necessario intervenire con altri provvedimenti di emergenza per aumentarne la portata  di ulteriori 600 l/sec.; tra il  1954-1957, infine, con la disponibilità dei finanziamenti previsti dalla nuova “Legge per Roma”, fu ultimata la sua costruzione.
L’Acea diede in seguito priorità all’adduzione  e alla realizzazione di  impianti destinati a rifornire il fabbisogno idrico della zona sud-orientale della città, fino al Lido di Ostia. L’appio Alessandrino fu costruito tra il 1964 -1968 e venne alimentato dalle sorgenti di Pantano Borghese e da alcuni pozzi situati nella zona di Torre Angela, tra Via Casilina e Via Prenestina,
Nella seconda metà degli anni ’60 l’eccezionale e imprevista espansione urbanistica della città e l’accrescersi dei consumi idrici determinarono però l’esaurimento delle nuove disponibilità, ponendo nuovamente in crisi il sistema di approvvigionamento idrico di Roma.
Nel 1966 l’Acea iniziò i lavori di costruzione del 2° tronco dell’acquedotto del Peschiera in sinistra del Tevere.  Nel giugno del 1971 il nuovo tronco entrò in funzione e la quantità complessiva di acqua che i due rami dell’acquedotto furono in grado di apportare era pari a 9,5 metri cubi al secondo.
Tra il 1971 e il 1981 venne realizzata la captazione delle sorgenti Le Capore, nei pressi di Frasso Sabino, lungo l’alveo del fiume Farfa. Con il completamento dell’intero sistema acquedottistico Peschiera-Capore, che complessivamente adduce circa 14 metri cubi di acqua al secondo in città, fu stabilizzato a lungo il problema dell’approvvigionamento idrico di Roma.
Inoltre, per migliorare l’affidabilità del servizio servizio idrico della capitale con una riserva di acqua potabile per le situazioni di emergenza, venne progettato e realizzato da Acea il nuovo acquedotto di Bracciano. L’impianto, la cui conduttura principale è divisa in due linee alimentatrici, è stato parzialmente ultimato nel 1997. Il sistema di potabilizzazione era in grado di sostituire per circa un mese, con acqua prelevata dal lago, la portata di un grande acquedotto, con una potenzialità di trattamento di 5 metri cubi al secondo.
In anni più recenti, a partire dalla fine degli anni Novanta, con la costituzione del Servizio Idrico Integrato su base di Ambito (ATO2) per i servizi di acquedotto, fognatura e depurazione,  lo sviluppo della pianificazione idrica degli impianti romani ( rispetto a quando la città era divisa in zone alimentate dai singoli acquedotti)  fa ormai parte della formazione di un comprensorio acquedottistico sempre più vasto, che ha conseguito un sistema integrato di pianificazione e gestione delle risorse idriche – dalle sorgenti agli scarichi – nella previsione di tutela e difesa dell’ambiente.

4.3 La riorganizzazione della DISTRIBUZIONE idrica di Roma e la municipalizzazione idrica integrale (1964)

Assicurare la disponibilità di nuove fonti di approvvigionamento, non risolveva il problema del rifornimento idrico della città. Occorreva in primo luogo mettere a punto un ordinato e moderno sistema di DISTRIBUZIONE, costituito fino a metà degli anni Sessanta da reti sovrapposte e non interconnesse, con problemi aggravati dalle caratteristiche topografiche dell’Urbe e dalla contemporanea presenza al suo interno di due enti distributori, l’Acea  e la SAM.
L’Azienda, parallelamente alla costruzione dell’acquedotto del Peschiera, impostò sin dal 1938 la progettazione e la costruzione di una più moderna rete distributiva, prevedendo la DISTRIBUZIONE a contatore e la costruzione di serbatoi e piezometri.
Nel 1964, scadeva infatti la CONCESSIONE della SAM, che avrebbe dovuto cedere gratuitamente e in piena EFFICIENZA i propri impianti allo Stato.
Attraverso una delibera comunale dell’autunno del 1964 con il conferimento dell’Acquedotto Marcio fu trasferita a Acea l’intera gestione del servizio acquedottistico e della rete di DISTRIBUZIONE idrica di Roma, mediante la procedura dell’incorporazione degli impianti della SAM.
Prese così avvio la municipalizzazione integrale del servizio idrico romano. Nonostante l’eredità gravosa lasciata dalla gestione privatistica della SAM, fu posta la premessa per la ricomposizione della rete idrica cittadina. L’intensa attività portata a termine dall’Acea a partire dagli anni ’60 per l’ampliamento e il rinnovo della rete e per la sua trasformazione a contatore, rappresentarono un coronamento della rivoluzione idrica della città, iniziata alla fine degli anni Trenta con la captazione delle sorgenti del Peschiera.
Seppure nel quadro di una programmazione non priva di contraddizioni, nel corso di un quarantennio Acea riuscì a  dotare Roma di infrastrutture tecniche moderne e all’avanguardia.
Inoltre, l'’ammodernamento del sistema di DISTRIBUZIONE andò  di pari passo con la riorganizzazione dell’intero sistema di approvvigionamento per adeguarlo alla dinamica di crescita della città. Sono stati così realizzati nuovi serbatoi, adduttrici e centri idrici di zona, che hanno interamente riequilibrato il sistema acquedottistico capitolino.
Un capitolo significativo della politica idrica degli ultimi 35 anni –  per le dimensioni dell’impegno tecnico e finanziario richiesto e per il suo significato sociale - fu il Piano di risanamento idrosanitario delle borgate, attuato a partire dal 1975.
Fino ad allora oltre 170.000 cittadini della capitale vivevano in borgate abusive delle zone periferiche, nelle quali l’approvvigionamento idrico rappresentava una grave emergenza (alla quale si faceva fronte con pozzi privati o consortili con il conseguente impoverimento delle falde e il loro INQUINAMENTO). 
Non solo era necessaria la costruzione ex novo delle reti di DISTRIBUZIONE idrica, ma si evidenziò, inoltre, l’inderogabile necessità di realizzare, nei vari comprensori esaminati (82 borgate), anche adeguati sistemi di fognature. Il piano elaborato da Acea, originariamente limitato ai soli impianti potabili, fu esteso pertanto, su incarico dell’amministrazione comunale, al più generale risanamento idrosanitario dei nuclei abusivi, realizzando congiuntamente la rete idrica e la rete fognante.
La spirale del degrado, al limite della sostenibilità, fu arrestata con la perimetrazione dei nuclei abusivi e il completamento da parte di Acea negli anni ’80 degli interventi di riqualificazione e risanamento.
Sempre nell’ambito del recupero urbanistico e della valorizzazione dell’arredo pubblico, inoltre, l’impegno di Acea  si è esplicato negli anni  anche attraverso  la gestione, la manutenzione e il corretto funzionamento delle circa 1500  fontane artistiche o monumentali ancora presenti in città, oltre le 2.500 caratteristiche fontanelle in ghisa, conosciute dai romani come “i nasoni” , disseminate su tutto il territorio della Capitale. 



Bibliografia

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