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Petrolio, carbone, gas naturale. Tutte queste fonti hanno lunghi periodi di rigenerazione molto superiori ai tassi di consumo che ne condizioneranno l’uso attuale e futuro.

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A proposito del gas russo - Agi Energia -

"La produzione di energia è il motore trainante del progresso economico mondiale" - Presidente Vladimir Putin

Circa un anno fa il Professor Jonathan Stern dell’Università di Oxford ha visitato la Stockholm School of Economics, dove ha presentato una versione ‘pop’ delle intenzioni della Russia in materia di produzione e commercio del gas, sia in patria che nelle nazioni a ovest del confine russo. Durante questo incontro di scarso livello sia Stern che altri “ricercatori” locali si sono lanciati in talmente tante affermazioni di dubbia natura che una volta in più mi sono ritrovato a essere dolorosamente cosciente della catastrofe politica e macroeconomica che potrebbe un giorno abbattersi su di noi a causa di un improvviso deficit di risorse energetiche. Questa situazione è riconducibile ai grotteschi e ripetuti fallimenti di divulgare e/o promuovere versioni realistiche delle politiche economiche in ambito energetico.

In seguito all’“incidente georgiano”, che ha avuto inizio in concomitanza dell’apertura delle Olimpiadi 2008, sembra ci sia stata una corsa sfrenata verso l’irrealtà, con il doppio intento di prevedere ed esaminare le tattiche geopolitiche della Russia e, in minor misura, di far circolare alcune bizzarre opinioni rispetto alla disponibilità o meno delle risorse energetiche russe. Recentemente in un breve articolo comparso su Newsweek si è sostenuto che il petrolio e il gas in transito attraverso il territorio georgiano avrebbero avuto l’effetto di “liberare l’Europa dalla Russia”; tuttavia, secondo quanto affermato dall’autore dell’articolo, questa speranza è da abbandonarsi dopo l’intervento militare russo nello stato caucasico. Come sia possibile pensare solo per un istante che la Russia, a oggi la maggiore superpotenza nell’ambito del gas, avrebbe accettato di vedere le proprie ambizioni ridotte da qualche pipeline in transito dalle regioni interne dell’Asia Centrale, dovrebbe essere oggetto dell’attenzione di psicologi e psichiatri piuttosto che dei lettori di un settimanale.

Il mio libro sulla produzione e il commercio del gas (1987) contiene probabilmente diversi elementi che hanno impedito alla mia opera di diventare la lettura preferita di molti esperti nel campo del gas; sicuramente, uno di questi elementi era la mia affermazione sulla necessità di una maggiore cooperazione tra produttori e consumatori di risorse energetiche, incluse la Russia e l’OPEC. Era (ed è) infatti mia convinzione che presto saremo costretti ad affrontare un inevitabile deficit di gas (e petrolio) ed è quindi necessario utilizzare ciò che rimane di queste risorse per facilitare la transizione verso una nuova economia energetica globale, in cui probabilmente il nucleare e le energie RINNOVABILI ricopriranno un ruolo di primo piano. Un signore che sembrava avere qualche difficoltà nell’afferrare questo concetto era certamente l’ex presidente statunitense Ronald Reagan, così come i suoi consiglieri: invece di comprare gas dall’ex Unione Sovietica, questi guru dell’energia pensavano che dovessero essere piuttosto i consumatori europei a ottenere le risorse energetiche di cui necessitavano da, per esempio, l’Africa e l’Argentina, sostenendo che così facendo gli europei avrebbero contribuito a fiaccare l’economia dell’Unione Sovietica.

Ovviamente, il capo dell’esecutivo era costituzionalmente e intellettualmente incapace di accettare una strategia più sottile, ossia contrattare con l’Unione Sovietica la fornitura di ingenti quantità di risorse energetiche, incoraggiando l’URSS a investire (e a riempire) in pipeline di dimensioni sempre maggiori. Il punto non era semplicemente difendere ed espandere le forniture di gas all’Europa Occidentale negli anni futuri, ma accrescere l’accessibilità generale a tutte le fonti di energia, comprese quelle acquistate dagli Stati Uniti (e dai loro amici e alleati) da qualsiasi fornitore (è anche possibile, e addirittura molto probabile, che un’altra delle teorie reaganiane fosse che il ritorno dei Talebani in Afghanistan fosse un evento auspicabile e dovesse essere incoraggiato. Se è così, vorrei semplicemente ricordare che la guerra in quest’area del mondo potrebbe essere ancora in pieno svolgimento quando inizieranno le feste di fine anno per festeggiare l’avvento del XXII secolo...).

Quando, nel corso di un mio intervento a Cambridge, ho accennato ai vantaggi di stabilire relazioni commerciali con la Russia e ho suggerito di smorzare i toni della retorica da Guerra Fredda, diversi osservatori (tra cui Melvin A. Conant, fondatore dell’autorevole rivista Geopolitics of Energy) hanno garantito a me e a tutti gli altri presenti che nonostante l’orientamento ideologico del Politburo sovietico fosse ostentatamente in favore di Marx e Lenin, la nomenklatura sovietica non disdegnava affatto dollari e marchi tedeschi, il che rendeva i dirigenti sovietici dell’industria del gas sovietico affidabili nel rispettare i propri impegni commerciali. Nell’articolo di Newsweek a cui ho fatto riferimento in precedenza si menzionava il fatto che gli acquirenti europei di gas hanno ottimi rapporti con la Russia e che non temono una maggiore dipendenza. Inoltre, la Germania sta per iniziare a costruire la propria pipeline in transito dal Mar Baltico per garantirsi la fornitura di gas russo.

So abbastanza di questa pipeline per ritenere che chi in questo Paese (Svezia) sta studiando questo progetto dovrebbe imparare a ignorare le preziose perle di saggezza dispensate da questi opinionisti di Oxford e da certi giornalisti. Questo atteggiamento ha faticato a prendere piede a causa di determinate idee molto diffuse in Svezia su presunte “doppie intenzioni” dei russi, quando è chiaro che il programma dei buoni russi può ragionevolmente riassumersi nell’accumulare la maggiore quantità di denaro nel più breve tempo possibile. Ciò che deve essere ancora compreso a fondo è il rapporto tra la quantità di gas russo in ingresso nell’Europa Occidentale e, ad esempio, il prezzo dell’elettricità diffuso in gran parte dei paesi europei: un prezzo gonfiato dalla deregulation dell’energia elettrica promossa dalla UE, nonché dalla decisione di sostenere la VENDITA dell’energia elettrica attraverso il programma NORDPOOL, che costituisce una versione sofisticata di quello che George Orwell definì come “un programma sociale casalingo”.

Diversi anni fa i vertici dell’Unione Europea (UE) tennero un incontro in cui si discusse a lungo della disponibilità del GAS NATURALE e del petrolio russo. Il Financial Times (23 marzo 2006) accennò al fatto che la VENDITA di gas russo alla Cina e al Giappone avrebbe potuto avere effetti negativi sul futuro energetico dell’Europa, che deve alla Russia almeno il 40% delle proprie forniture di gas. Sul lungo periodo tali effetti negativi potrebbero inoltre estendersi all’America del Nord, poiché l’arena mondiale del gas ha iniziato ad assumere le sembianze di un mercato di massa standard, a causa (tra l’altro) della possibilità di trasportare enormi quantità di carichi “spot” mediante le petroliere adibite al trasporto di GNL.

In base a quanto sostenuto nell’articolo di Newsweek, una recente analisi elaborata nel corso del Programma Energetico dell’Università di Rice ha evidenziato che lo sforzo dei russi di privare la Germania di gas sarebbero totalmente inutili, giacché la deregulation del mercato consentirebbe ad altri fornitori di colmare tale vuoto. Quello che gli autori di questa abborracciata conclusione della Rice University sembrano ignorare è che non ci sono altri fornitori in grado di supplire alla defezione dei russi a breve termine, e forse nemmeno nel lungo periodo sarebbe possibile trovare fornitori di gas a basso prezzo. D’altra parte, a breve termine i russi potrebbero affrettarsi a completare le altre pipeline in fase di realizzazione destinate a rifornire la Cina e gli stati ancora più a est. In questo caso la Germania e altri paesi europei, e addirittura gli Stati Uniti, si ritroverebbero a mendicare aumenti progressivamente maggiori delle quantità di gas erogato.

La candidata alla vice-presidenza scelta da John McCain, Ms Palin, è una fervente sostenitrice di un aumento degli investimenti nel settore del GAS NATURALE dell’Alaska (e forse del Canada), che potrebbe così finalmente essere trasportato nel Midwest. Questo programma è stato discusso nei dettagli ben prima che il mio libro fosse pubblicato 20 anni fa; all’epoca, il costo del programma veniva generalmente considerato eccessivo. Attualmente il costo stimato si attesta intorno ai 40 miliardi di dollari, contro i 10 miliardi delle diverse pipeline russe dirette in Asia. Viste le circostanze, il chiacchiericcio ignorante di gente come la signora Merkel e la signora Rice dovrebbe essere tenuto a freno, poiché in campo energetico la posizione della Russia è talmente invidiabile che il governo russo non è certo facilmente impressionabile da strategie economiche o politiche da vudù. Invece di gingillarsi con l’ipotesi di investire nelle forniture di gas proveniente dall’Alaska o dal Canada, che potrebbe rivelarsi insufficiente a coprire il fabbisogno energetico, sarebbe meglio concentrarsi sul determinare la quantità di gas ricavabile dai depositi di scisto all’interno o in prossimità del territorio statunitense.

Un altro argomento scarsamente discusso è la possibile partecipazione dei russi all’emergente mercato del GAS NATURALE LIQUIDO (GNL), nonostante alcuni osservatori vi abbiano fatto accenno. Si è parlato anche delle esportazioni di gas russo proveniente dai progetti per il GNL in atto nelle Isole Sakhalin, che consentirebbe l’accesso ai mercati dell’Asia-Pacifico mediante l’utilizzo dei terminal in apertura in India. È tuttavia interessante sottolineare come i russi abbiano deciso di sviluppare l’enorme GIACIMENTO di gas Shtokman senza nessun aiuto dall’estero, per poterlo forse convertire da fonte di GNL destinato agli Stati Uniti in una struttura di pipeline per l’esportazione di gas in Europa.

In teoria, la fornitura di GNL russo potrebbe potenzialmente estendersi ovunque, poiché se il GNL ammonta ad appena il 2% del gas attualmente utilizzato negli Stati Uniti, il Dipartimento Energetico USA (USDOE) ha accennato alla possibilità che tale quota potrebbe raggiungere il 30% entro il 2025, per una domanda totale di gas negli Stati Uniti pari a circa 30 trilioni di piedi cubi. Come affermato da Mark G. Papa, un influente dirigente nel settore energetico, “Per quanto riguarda l’offerta, attualmente il GNL è l’unico elemento su cui fare leva”. Naturalmente, molti americani non vogliono impianti GNL all’interno o nelle vicinanze della zona in cui vivono. Dopo che un incidente occorso in Algeria ha ricordato agli ambientalisti che il GNL (a causa della sua densità) ha un alto POTENZIALE esplosivo, il pubblico è stato informato del fatto che il GNL potrebbe rivelarsi un POTENZIALE bersaglio di azioni terroristiche. In California l’opposizione a nuovi terminal GNL è molto forte e in continuo aumento, e di conseguenza il prossimo terminal di fornitura di GNL all’utenza californiana verrà probabilmente costruito in Messico.

CONCLUSIONI

Le elezioni USA stanno attirando l’attenzione di molti in questi giorni e i candidati alla presidenza non hanno tralasciato di discutere la questione energetica. L’indipendenza energetica è stata definita un possibile traguardo, nonostante ciò sia difficilmente comprensibile, poiché l’indipendenza energetica totale è un traguardo senza senso. Lo stesso vale per la “liberazione” dei consumatori europei dalla Russia. Non si sta dedicando la giusta attenzione al nucleare, nonostante John McCain abbia rilasciato alcune dichiarazioni illuminate a riguardo. Propongo di compiere un maggiore sforzo per spiegare i costi e i benefici del nucleare e, visto il fabbisogno energetico europeo, di lasciare perdere l’informazione-spettacolo propinataci dai neofiti della Guerra Fredda.

BIBLIOGRAFIA

Banks, Ferdinand E. (2007). The Political Economy of World Energy: An Introductory Textbook. London, Singapore and New York: World Scientific.
______ ´(1987) The Political Economy of Natural Gas. London & Sydney: Croom-Helm.

Tratto da Agi Energie