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L'ecosistema urbano - Giorgio Nebbia -

La città, questo insieme di abitazioni, uffici, officine, scuole, strade, automobili, persone che si spostano da un luogo all'altro --- appare, a chi la osserva attentamente, come un essere vivente.
La città può svolgere le sue funzioni soltanto se viene nutrita con una grande massa di materiali: acqua che arriva nelle case attraverso acquedotti; alimenti, prodotti in campi lontani, che arrivano agli abitanti attraverso i negozi e i mercati; benzina che arriva agli autoveicoli attraverso i distributori; carta che arriva nelle edicole sotto forma di giornali, o negli uffici.
E, come qualsiasi altro essere vivente, la città trasforma tutto quanto entra, ha un suo "metabolismo", le cui scorie gassose finiscono nell'aria, le scorie liquide vengono trascinate nelle fognature e, dove esistono, nei depuratori, prima di arrivare nei fiumi o nel mare; in un paese industriale come il nostro, ciascun abitante genera, nelle sue abitazioni, ogni anno mezza tonnellata di rifiuti solidi, quasi dieci volte il suo peso.

La vita urbana ha un carattere pulsante: nelle prime ore del giorno entrano i camion che trasportano la carne, la verdura, i giornali, la benzina, le merci; poi le strade sono occupate, spesso invase, dal moto frenetico dei veicoli che trasportano folle di persone verso il lavoro o le scuole; verso sera si osserva un flusso di persone e veicoli in uscita e, finalmente, per alcune ore, anche il corpo della città sembra riposare.

Proprio come il corpo umano, anche il corpo di una città è afflitto da malattie che sono la congestione del traffico, l'INQUINAMENTO dell'aria, l'accumulo dei rifiuti, ma anche la solitudine delle persone, specialmente anziane, nelle periferie, la povertà e lo squallore di molti quartieri, la mancanza di spazi verdi per i bambini, l'inadeguato smaltimento delle fogne e dei rifiuti.

I medici delle città, che sono (dovrebbero essere), poi, i pubblici amministratori, possono svolgere il loro compito, nell'interesse degli abitanti, soltanto se dispongono di analisi accurate del "funzionamento" di ciascuna città.
Occorre il lavoro di chimici che siano in grado di analizzare l'aria e le acque, di climatologi, di botanici capaci di osservare le piante che, insieme agli umani, albergano nelle città, di zoologi in grado di conoscere le popolazioni di animali domestici e anche di parassiti che sono presenti nel tessuto urbano.
Occorrono gli studi di specialisti di approvvigionamento idrico e di smaltimento dei rifiuti e poi di psicologi e sociologi, e, naturalmente, di urbanisti, i cultori per eccellenza della scienza "urbana".

Purtroppo, nonostante le sollecitazioni che da trent'anni a questa parte vengono dalle Nazioni unite e dalle loro agenzie, solo di poche città è stato studiato l'intero ECOSISTEMA; gli stessi specialisti dei vari aspetti degli ecosistemi urbani non sono molti e spesso comunicano poco fra loro.

I pubblici amministratori, da parte loro, non hanno molta voglia di ascoltare gli analisti della città come organismo unitario vivente, soprattutto perché il loro responso spesso suggerisce rimedi sgradevoli, indica le molte cose che "non si devono" fare: dove non si devono tagliare alberi, dove non si devono costruire nuovi quartieri, quali limiti vanno posti al traffico urbano, e altre cose impopolari per molti elettori.

Va quindi molto apprezzata l'iniziativa dell'Accademia Nazionale dei Lincei --- che prende il nome dalla lince, l'animale che vede con precisione e lontano --- di riunire per tre giorni, a Roma, dal 22 al 24 ottobre del 2001, gli studiosi di differenti discipline, invitando anche pubblici amministratori, in un convegno dedicato agli "Ecosistemi urbani".

Nel corso dei lavori è emerso che gran parte degli studi di ecologia urbana sono stati dedicati finora alle città del Nord opulento e industrializzato del mondo.
Ma centinaia di milioni di persone nel Sud del mondo si stanno affollando, sotto la spinta della povertà, delle migrazioni, della siccità, alla ricerca di spazio e ricovero e lavoro, in centinaia di città, molte delle quali stanno raggiungendo una popolazione di oltre dieci milioni di abitanti.
Metropoli, anzi megalopoli, con centri urbani ormai simili a quelli del Nord del mondo, e con sterminate periferie poverissime e prive di servizi igienici, con baraccopoli affastellate intorno alle discariche di rifiuti da cui gli abitanti separano e traggono quel po' che c'è ancora di vendibile. Come a Korogocho, la baraccopoli di centomila abitanti alla periferia di Nairobi, che conosciamo per la continua appassionata testimonianza di un padre comboniano italiano, Alex Zanotelli, che ne ha fatto la propria casa e la propria chiesa.

Anche gli ecosistemi del Sud del mondo, agglomerati di contraddizioni e malattie urbane, ben meritano, perciò e urgentemente, analisi e ricerca di rimedi, anche per estirpare la carica di ingiustizia e violenza che essi contengono.

Ma il buongoverno delle città presuppone anche una importante vasta azione culturale e pedagogica.
Quanto si parla delle città nelle scuole?
Poco e talvolta per esaltarne il valore liberatorio, che certamente esiste perché le città offrono scuole, cinema, punti di aggregazione, biblioteche, università, servizi.
Ma non sarebbe male spiegare anche che la città, proprio come qualsiasi territorio della biosfera, ha dimensioni limitate.
Se le persone che affollano gli uffici e i servizi, se i veicoli che occupano le strade e le piazze, superano la capacità ricettiva di tali spazi si arriva a forme di competizione, a conflitti anche violenti, in qualche caso al collasso dell'ECOSISTEMA urbano. Col rischio, per citare il titolo di un saggio di Roberto Vacca del 1971, della "morte di Megalopoli".