Come evidenziato da ripetuti sondaggi realizzati in Italia, Francia, Germania e Regno Unito, la maggior parte dei cittadini europei ritiene che la qualità dell’aria nelle aree urbane stia progressivamente peggiorando.
Tale convinzione genera una domanda di provvedimenti di regolamentazione del traffico via via più restrittivi. I dati a nostra disposizione testimoniano però una realtà assai migliore rispetto a quella immaginata.
Nella maggior parte dei settori tecnologici, gli ultimi decenni hanno visto notevoli progressi: le emissioni di sostanze inquinanti nell’atmosfera non fanno eccezione.
Le fabbriche moderne immettono nell’aria sostanze nocive in misura nettamente inferiore rispetto al passato. Lo stesso vale per gli impianti di riscaldamento domestico.
D’altra parte, per convincersi di quanto accaduto basterebbe dare un’occhiata alle vecchie cartoline che ci mostrano vedute aeree di Roma, Londra, Parigi e delle altre città europee coperte di fumi nerastri o giallastri emessi dai camini di fabbriche o edifici. L’evoluzione è stata analoga per gli autoveicoli: i mezzi moderni, grazie ai progressi tecnici e ai dispositivi di cui beneficiano, inquinano assai meno dei precedenti.
Per quanto concerne il biossido di zolfo (anidride solforosa), che è stato il grande inquinante dell’era industriale, la concentrazione media è stata ridotta negli ultimi cinquanta anni del 95%: da 200 µg/m3 si è passati a meno di 10.
Il contributo del traffico alla produzione di SO2 è peraltro minimo: esso proviene dalla combustione del gasolio (la benzina non contiene zolfo) il cui tenore massimo è passato dall’1% allo 0,05%.
Con la generalizzazione delle marmitte catalitiche che equipaggiano tutte le vetture a benzina immatricolate in Europa dal 1993, è pressoché scomparso il piombo correlato alla circolazione stradale, le emissioni di OSSIDI DI AZOTO sono state ridotte a un quinto e quelle di ossido di CARBONIO sono state abbattute ad un ventesimo rispetto a quelle dei veicoli che circolavano due decenni fa.
Ancor più significativa è l’evoluzione nel lungo periodo delle polveri sottili che, secondo quanto affermato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, rappresentano una buona proxy per valutare le condizioni complessive della qualità dell’aria.
Le serie storiche disponibili relative alla concentrazione di PM10 nelle aree urbane sono piuttosto brevi (10-15 anni). Esistono però dati che risalgono più indietro nel tempo relativi alla concentrazione del cosiddetto “fumo nero”, un indicatore predittivo degli impatti negativi sulla salute almeno quanto lo sono PM10 e il PM2.5.
Ebbene, la tendenza nel lungo periodo della concentrazione di fumo nero nelle aree urbane europee evidenzia un netto miglioramento della qualità dell’aria:
Risultati analoghi a quelle delle metropoli straniere sono stati conseguiti in Italia anche in città, quali quelle della pianura padana, caratterizzate da condizioni atmosferiche particolarmente sfavorevoli per la dispersione degli inquinanti.
A Milano, ad esempio, negli ultimi quindici anni:
Il trend del passato è destinato a proseguire in futuro grazie al progressivo rinnovo del parco veicolare e alla generalizzazione dei filtri di abbattimento delle polveri emesse dai veicoli diesel il cui peso sul totale del parco circolante è notevolmente cresciuto negli ultimi anni.
Risultano quindi via via meno giustificati provvedimenti di restrizione del traffico in quanto i benefici conseguibili risultano essere assai modesti (per conseguire la stessa riduzione di emissioni che nel 1995 si otteneva con il blocco di una sola auto, nel 2015 sarebbe necessario il fermo di almeno dieci veicoli) se paragonati ai costi da sopportare.
Tratto da Agi Energia