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Una riforma paralizzata - Gas, le troppe limitazioni al decreto Letta - Roberto Macrì -

Nei primi anni dopo il decreto Letta del 2000 un’ondata di compravendite ha ridotto drasticamente il numero delle aziende di DISTRIBUZIONE da più di 750 a poco più di 300 realizzando il principale obiettivo “non detto” che si proponeva la riforma: sfoltire l’eccessivo numero di distributori prosperato grazie ad un sistema contrattuale che garantiva una discreta redditività anche agli operatori marginali;
uscirono così dal mercato centinaia di piccoli e piccolissimi operatori spaventati dalle nuove regole a proposito di:
– concessioni con due innovazioni severe: il metodo esclusivo della gara come la sola via ammessa per selezionare le aziende e per scegliere l’offerta migliore, abolendo così ilsistema invalso fino ad allora della licitazione privata che lasciava margini troppo discrezionali ai Comuni nella scelta e nella trattative con i concessionari; l’accorciamento del periodo contrattuale dai 20-30 anni del vecchio sistema a soli 12, con maggiori difficoltà nel recupero dei costi di investimento e di gestione considerando che nelle gestioni anteriforma era usuale per la media degli operatori raggiungere il break even point solo verso il decimo anno di gestione.
– tariffe. Costi standard e recupero progressivo di produttività (PRICE CAP) sono i due criteri innovativi per calcolare le tariffe; un cambiamento radicale rispetto al sistema precedente di riconoscimento dei costi storici e con la garanzia di una redditività superiore al costo del denaro, quello che venne bene definito “a piè di lista”.
– bacini di utenza. Come nell’acqua e nei rifiuti, l’obiettivo è di accorpare i Comuni in zone operative omogenee disegnate in modo da ottimizzare la progettazione delle reti a vantaggio degli investimenti e dell’efficienza tecnica e minimizzare così i costi di esercizio e di manutenzione
– la separazione delle attività tecniche di gestione della rete dalle attività di commercializzazione della materia prima: l’adozione di un criterio europeo che doveva aprire il mercato neutralizzando la gestione delle reti per stimolare la competizione tra le aziende commerciali.
L’insieme di questi criteri mirava a mettere gli operatori in una situazione di forte concorrenza per introdurre in questa attività una logica imprenditoriale fino ad allora sopita da una gestione del settore basata su un accordo di non belligeranza e amministrato come una rendita di posizione. A queste condizioni, si pensava, avrebbero potuto “resistere” solo le aziende più efficienti e con sufficienti dimensioni di scala tali da sopportare i costi della struttura e dell’innovazione; quelle aziende cioè che per la loro organizzazione ed esperienza si sarebbero trasformate da semplici gestori di un servizio esercitato senza concorrenza in vere e proprie imprese capaci di sviluppare le loro competenze nella diversificazione della loro principale attività e, soprattutto, nel mercato internazionale dove l’esperienza italiana in questo campo è conosciuta ed apprezzata. Superato lo spavento delle nuove regole e la prima ondata delle compravendite il settore si è però stabilizzato quando si è visto che in questi 10 anni i principi della riforma hanno avuto applicazione molto limitata:
– nel campo delle concessioni: la scadenza delle concessioni è stata rinviata più volte con provvedimenti di moratoria; le poche gare svolte sono state quasi tutte oggetto di contestazione legale in assenza ancora oggi di regole nazionali per la selezione delle aziende, per la formulazione dei capitolati e dei bandi gara e per la determinazione dei canoni a favore dei Comuni cosicché ogni Comune procede per sé; sono state infine introdotte una serie di eccezioni a favore delle municipalità per tornare al vecchio sistema della licitazione privata a protezione della posizione delle Municipalizzate e delle prerogative dei Comuni.– nella gestione delle tariffe. In proposito l’attività regolatoria dell’Autorità dell’energia è stata dettagliata e puntuale ma si è scontrata con l’accanita resistenza di tutte le associazioni di categoria, contrarie a recepire il nuovo metodo dei costi standard e del PRICE CAP riuscendo troppe volte in Tribunale a conservare il riferimento ai costi certificati in bilancio e ad attenuare gli obiettivi di produttività.
– la separazione delle attività tecniche di gestione della rete di DISTRIBUZIONE dalle attività commerciali di VENDITA del METANO, il cosiddetto unbundling, non è stato mai realizzato con una separazione proprietaria ma con soluzioni “a metà”: o con una semplice divisione amministrativa delle due attività all’interno della stessa società; oppure attraverso la costituzione di due società facenti capo però alla stessa società madre. Cosicché è ancora limitata la concorrenza tra le società commerciali, tendendo ciascuna a mantenere la posizione acquisita nei Comuni dove opera la società “sorella”
come distributore tant’è che molte società di DISTRIBUZIONE sono state censurate dall’Autorità dell’energia per ostruzionismo verso le aziende commerciali concorrenti della loro società “sorella” ; ne è prova il tasso di ricambio degli utenti gas che è assai inferiore al settore elettrico.
– e in ultimo, ma non ultimo, l’aggregazione dei Comuni in bacini operativi è ancora di là da venire nonostante le proposte dell’Autorità dell’Energia vecchia 17 mesi e la recente determinazione del Mse.
La responsabilità di questa sostanziale paralisi della riforma (non soltanto però nell’attività di DISTRIBUZIONE ma in tutto il ciclo gas) è di tutti i Governi che si sono succeduti in questo decennio i quali hanno legiferato in modo caotico concedendo continue moratorie ed una serie di eccezioni che hanno stravolto la logica ed i principi fondamentali della riforma; in questa attività legislativa gli interessi convergenti dei Comuni e delle Aziende al mantenimento dello statu quo hanno infatti prevalso sui consigli dell’Autorità dell’energia che ha cercato ostinatamente di mantenere la rotta della riforma ma è stata di fatto confinata dalla Politica nel ruolo di “Consigliere del Principe” e spesso sopportata come un fastidioso Grillo Parlante. In questo quadro però l’Autorità si è inserita con determinazione svolgendo un’opera di analisi sistematica del settore che è riferimento essenziale per seguirne l’andamento, e di regolazione attraverso un apparato di procedure che si rivela molto efficace nell’attività di controllo dei costi, della qualità del servizio e della concorrenza ma che per altri aspetti (il codice di rete, i call center, l’attivazione dei nuovi clienti per esempio) appare invece troppo pesante e formalistico.
A completare questa ricognizione dello stato del settore è utile vedere qual è la struttura dell’offerta in base ai dati più recenti del 2007 resi disponibili dall’Autorità dell’energia: le aziende che hanno fornito le informazioni sono 304 ma 21 di queste non svolgono attività. Tra le rimanenti 283 aziende la concentrazione in termini di mc venduti e di utenti serviti è formidabile: le prime 20 hanno venduto il 75% del totale mentre da sole le prime 7 hanno raggiunto il 58%; e solo le prime tre superano il milione di utenti mentre le successive 4 sono sopra i 500mila. Ma la concentrazione è molto forte anche nell’ambito delle prime 20: Eni ed Enel assieme hanno quasi la metà del venduto mentre le tredici aziende Municipalizzate e i cinque distributori privati si dividono rispettivamente poco più del 37% e del 13%. Considerando che i restanti 263 operatori gestiscono solo il 25% dei mc venduti (la stessa quantità di Italgas da sola) e che il numero delle concessioni comunali è di 6400 è palese la forte frammentazione dell’offerta assai lontana dalle dimensioni di scala necessarie per operare i questo settore. In questo scenario vanno inquadrate la VENDITA delle due reti più grandi di proprietà di Eni ed Enel e le numerose altre annunciate negli ultimi mesi dalla stampa specializzata; tra le intenzioni di VENDITA annunciate spiccano quelle di E.On., il solo distributore straniero con 800mila utenti e al sesto posto con il 3,6% di mc venduti, e la rinunzia di SuezGazdeFrance all’acquisto di RomanaGas, la rete cittadina più grande; ambedue i gruppi sono insediati in Italia con molteplici attività e SGF è presente nella DISTRIBUZIONE tramite il controllo di Italcogim, al quinto posto con il 3,9% del mercato. Sono troppo poche queste informazioni per capire la direzione del mercato ma sufficienti per chiederci: perché quattro aziende tra le prime sette segnalano, per diversi motivi, uno sganciamento da questa attività? considerato l’alto grado di concentrazione dell’offerta si poteva piuttosto pensare ad una strategia espansionistica dei grandi distributori a caccia dei piccoli. E’ vero che nessun segnale in questo senso arriva dalle Municipalizzate, ma questo è un mondo a sé, subordinato
agli interessi della politica locale che troppo spesso paralizza lo sviluppo delle aziende: gli ultimi casi di A2A, di Iride, di Hera e di Acea ne sono un cattivo esempio.
Un’ipotesi che si può sostenere è che le grandi aziende del settore stiano rivedendo le loro strategie nel settore del gas abbandonando o attenuando l’impegno nella fase della DISTRIBUZIONE, quella con i minori margini di profitto e fortemente capital intensive, per concentrarsi nelle attività di commercializzazione e nel settore elettrico per chi ha i piedi in due staffe. E’ un’ipotesi fondata sulle indubbie difficoltà operative di questa attività che sopra abbiamo ricordato e che ricadono sulle aziende attraverso: la gestione di una matassa normativa e burocratica sempre più intricata e impegnativa la riduzione progressiva dei margini economici non solo per le difficoltà di contenimento dei costi e di aumento della produttività ai ritmi richiesti dall’Autorità ma anche per l’incidenza economica dei canoni concessori da corrispondere ai Comuni extra tariffa; troppo incerti i riferimenti normativi e contrattuali per il rinnovo e le nuove concessioni e ancora di là da venire un’organizzazione per bacini di utenza che superi definitivamente la frammentazione in migliaia di Comuni; troppo breve il periodo di 12 anni per il rientro degli investimenti; è un’attività capital intensive e dove il rischio finanziario è accentuato da un’altra variabile “fuori controllo” data dal fatto che nella realizzazione degli investimenti non sempre l’attivazione dei nuovi clienti segue di pari passo l’attivazione delle nuove reti e questo sfasamento comporta un ritardo nell’adeguamento tariffario; è, infine, un‘attività labor intensive e di grande complessità organizzativa con difficoltà operative e di pianificazione crescenti
al crescere degli standard di sicurezza. Questo scenario per il fatto di essere realistico non è però detto che diventi reale: può darsi che Snam riaccolga volentieri Romana- Gas e dia peso di core business ad Italgas senza ulteriori incertezze sul suo ruolo primario nella DISTRIBUZIONE cittadina; può darsi che Enel superato il difficile momento finanziario eserciti l’opzione per riprendere la proprietà della rete; può darsi che la rinunzia di SuezGazDeFrance sia una tattica verso Acea e alla fine invece acquisti RomanaGas per farne con Italcogim il secondo gruppo italiano. Ma se tutto ciò non sarà, lo scenario muterà radicalmente con conseguenze sulla stessa riforma del 2000.

Tratto da Staffetta Quotidiana - 25 luglio 2009 -n. 141