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Siccità e Desertificazione - Fabio Gea -

Parlare delle risorse naturali indispensabili per la vita non è solo argomento di attualità, ma un’urgenza.

Non è più ammissibile sottovalutare le insidie e cedere all’indifferenza, rischiando di commettere errori che in futuro non saremo in grado di riparare.

Nell’aridità del suolo si specchia la scarsa attenzione dell’uomo: lo spreco dell’acqua, l’estremo sfruttamento della terra, le emissioni inquinanti responsabili dei cambiamenti climatici.

Tempesta di Sabbia

La siccità è il “decremento dell’acqua disponibile in un particolare periodo e per una particolare zona” (Wilhite, 1993).

È un fenomeno sporadico, che rispecchia alcune fasi caratteristiche del normale ciclo idrologico e che può colpire anche aree non aride.

Può infatti verificarsi sia in regioni secche sia umide e in questo si differenza dall’aridità, che è invece ristretta alle aree geografiche a bassa piovosità e risulta pertanto una caratteristica permanente del clima.

Trovano qui le condizioni ottimali per svilupparsi i processi di degradazione delle terre, i quali hanno inizio in aree limitate e procedono a macchia e per gradi successivi, subendo bruschi peggioramenti durante i periodi asciutti o regressioni durante quelli più umidi.

La desertificazione si attiva durante le fasi più asciutte, polverizzando il suolo preesistente e rendendolo preda della deflazione eolica: il materiale terrigeno si mobilizza fino ad accumularsi in dune che si muovono seguendo la direzione del vento.

Un termine in evoluzione Intorno al 1949 lo scienziato Andre Aubreville notò un’espansione della degradazione delle terre verso le regioni semiaride e sub-umide secche del Nord Africa a partire da quelle più aride del Sahara.

Aubreville coniò per questo processo il termine “desertificazione”.

Era da inizio secolo che i processi di desertificazione incominciavano a essere studiati, soprattutto dai ricercatori britannici e francesi, direttamente interessati alla colonizzazione di quei Paesi.

Il radicale determinismo che dominava le teorie dell’epoca aveva rivolto gli sguardi verso spiegazioni necessariamente naturali, colpevolizzando unicamente l’inaridimento del clima.

Dopo il secondo conflitto mondiale si incominciò a invertire la rotta, introducendo l’azione umana tra le possibili cause innescanti, al punto da sostenere “la siccità è un tipo climatico, la desertificazione è opera dell’uomo”.

Il congresso Onu del 1977 che trattava le problematiche delle terre aride terminò con un’affermazione categorica e trionfalistica: la vittoria della desertificazione si sarebbe raggiunta entro l’anno 2000.

Sette anni dopo, la Conferenza internazionale di Nairobi sullo stesso argomento ammetteva che l’obiettivo proposto sette anni prima era da considerarsi del tutto irrealistico.

Dopo una secolare oscillazione fra contrastanti interpretazioni, spesso compromesse da pregiudizi ideologici più attenti a motivazioni geopolitiche che non scientifiche, finalmente da una ventina d’anni a questa parte si concorda che nei processi di desertificazione intervengono sia componenti naturali sia antropiche.

Il termine viene oggi definito dall’Unccd (United Nations Convention to Combat Desertification) come “la degradazione delle terre nelle regioni aride, semiaride e sub-umide secche risultante da vari fattori, tra cui le variazioni climatiche e le attività umane”.

La degradazione delle terre è a sua volta definita come riduzione o perdita di produttività biologica ed economica delle terre aride.

Tratto dalla rivista INQUINAMENTO, Giugno 2006